Nell'ipotesi in cui l'interpretazione delle clausole di un contratto nel caso di specie di assicurazione presenti dei margini di ambiguità, dovrà comunque essere preferita l'interpretazione più rispondente alla buona fede.
Ove l'interpretazione delle clausole di un contratto presenti dei margini di ambiguità, dovrà comunque essere preferita l'interpretazione più rispondente alla buona fede.
Il principio è stato ribadito dal giudice di legittimità in una recente sentenza. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito pronunciata nel quadro di un giudizio conclusosi con la condanna al risarcimento dei danni emessa a carico del titolare di una azienda e conseguente alla caduta, nel cortile aziendale, di una signora a causa della presenza di un cane legato ad una catena. In particolare, la Corte regolatrice, accogliendo i vizi di violazione di legge e di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia denunziati dal ricorrente, ha censurato la pronuncia impugnata laddove il giudice del merito ha ritenuto che la polizza assicurativa, stipulata tra il danneggiante e la compagnia assicurativa, non fosse nel caso di specie operante, in quanto il luogo del sinistro era la sede dell'attività lavorativa mentre l'assicurazione risultava stipulata in riferimento alla "vita familiare" del contraente. Secondo la Cassazione, il giudice del merito, pur riconoscendo che il "rischio cane" non fosse legato alla abitazione dell'assicurato, non ne ha poi tratto le conseguenti e coerenti conclusioni, in tal modo evidenziando il vizio di motivazione oggetto di censura da parte del ricorrente.
Cass. Civ., Sez. III, 27 agosto 2014, n. 18349
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