venerdì 31 ottobre 2014

Locazione, danno da ritardato rilascio dell'immobile

In materia di locazione, ove il proprietario dimostri l'esistenza di una favorevole occasione di vendere o di locare il bene, si configura il danno da ritardato rilascio di immobile.
Perché sia configurabile il maggior danno da ritardo nella restituzione del bene locato, ex art. 1591 c.c., debbono essere provate sia la situazione di mora del conduttore sia il maggior danno subito dal locatore a seguito dell'impossibilità di disporre dell'immobile.
Cass. Civ., Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22352

lunedì 13 ottobre 2014

Planimetria allegata alla compravendita

Per la validità di una compravendita immobiliare è necessario che l’oggetto sia determinato, ovvero determinabile in base ad elementi contenuti nel relativo atto scritto (pertanto documentali e non estrinseci all’atto), dovendosi ravvisare il requisito della determinatezza o della determinabilità nella inequivocabile identificazione dell’immobile compravenduto per il tramite dell’indicazione dei confini o di altri dati oggettivi incontrovertibilmente conducenti al fine e idonei a non lasciare margini di dubbio sull’identità del suddetto immobile. 
Nei negozi solenni l'oggetto del contratto può essere determinato anche per relationem a condizione, però, che la planimetria sottoscritta dalle parti ed allegata all'atto sia aggiornata.
Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza n. 21352/14 del 09/10/2014


lunedì 6 ottobre 2014

Lavori condominiali per i danni a terzi risponde l'appaltatore

Esaminando una controversia relativa ad un contratto di appalto in un complesso condominiale di particolare pregio, la Suprema Corte ha ribadito che, in assenza di un qualche indice capace di far supporre che sia stato sottoposto dal committente a direttive tanto stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione, è l'appaltatore a rimanere l'esclusivo responsabile dell'esecuzione dei lavori, nonché dei relativi danni conseguenti a negligenza nell'esecuzione.
Nell'appalto, di regola, è l'appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell'inosservanza della legge penale durante l'esecuzione del contratto, attesa l'autonomia con cui egli svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l'opera o il servizio cui si era obbligato.
Limitandosi invece il controllo e la sorveglianza del committente all'accertamento ed alla verifica della corrispondenza dell'opera o del servizio affidato all'appaltatore con quanto costituisca l'oggetto del contratto, una sua responsabilità nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, tanto che l'appaltatore finisca per agire quale "nudus minister" privo dell'autonomia che normalmente gli compete; parimenti, una responsabilità del committente è predicabile per "culpa in eligendo", ossia, per aver affidato il lavoro ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del "neminem laedere" di cui all'art. 2043 c.c.
Il principio, sorretto da un insegnamento costante nella giurisprudenza di legittimità, è stato ribadito in una recente pronuncia.
Nella fattispecie, la Suprema Corte ha cassato e deciso nel merito la sentenza impugnata laddove la stessa, nell'ambito di una azione risarcitoria intentata da un condomino nei confronti del Condominio, del suo amministratore e degli appaltatori responsabili dei danni causatigli in sede di esecuzione dell'appalto, aveva affermato, oltre a quella dell'appaltatore, anche la responsabilità del Condominio e dell'amministratore anche quale di direttore dei lavori del medesimo.
Sotto tale profilo, la decisione in epigrafe, muovendo dal principio secondo cui l'amministratore non costituisce una entità diversa dal condominio del quale è rappresentante, perché il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica diversa da quella dei singoli condomini, giunge ad affermare che «il condomino che ritenga di essere stato danneggiato, come nella specie, da un'omessa vigilanza da parte del condominio nell'esecuzione di lavori sulle parti comuni non può considerare l'amministratore come un soggetto terzo estraneo, ma dovrà comunque rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti del condominio il quale, a sua volta, valuterà se esistono gli estremi di una rivalsa nei confronti dell'amministratore». Né, conclude la Corte regolatrice, può pervenirsi a diverse conclusioni in considerazione del ruolo di direttore dei lavori affidato all'amministratore predetto.
Cass. Civ., Sez. III, 30 settembre 2014, n. 20557

giovedì 2 ottobre 2014

Contratti bancari - Deposito cointestato: in caso di morte l'altro contitolare può chiedere l'adempimento dell'intero saldo

La Suprema Corte ha consolidato il principio, già enunciato espressamente in un unico precedente, secondo cui, in caso di deposito bancario intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell'altro, l'adempimento dell'intero saldo del libretto di deposito a risparmio e l'adempimento così conseguito libera la banca verso gli eredi dell'altro contitolare.
Nel caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo dell'obbligazione, che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicché il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell'altro, l'adempimento dell'intero saldo del libretto di deposito a risparmio e l'adempimento così conseguito libera la banca verso gli eredi dell'altro contitolare.
Il principio, già enunciato espressamente dal giudice di legittimità (cfr., Cass. Civ., Sent. n. 15231 del 2002, cit.), è stato nuovamente affermato nella parte motiva di una decisione assunta lo scorso mese di giugno.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il giudice del merito, in riforma della decisione di primo grado, da un lato aveva condannato una banca al pagamento in favore di un cointestatario di una somma di danaro oltre gli interessi maturati al tasso pattuito nel contratto di conto corrente fino alla domanda ed al tasso legale da tale momento fino alla data di effettivo pagamento e dall'altro, aveva dichiarato altro cointestatario obbligato a tenere il predetto istituto di credito indenne della somma corrisposta all'altro cointestatario.
Cass. Civ., Sez. I, 3 giugno 2014, n. 12385

mercoledì 1 ottobre 2014

Se l'interpretazione del contratto risulta ambigua occorre prediligere il canone della buona fede

Nell'ipotesi in cui l'interpretazione delle clausole di un contratto nel caso di specie di assicurazione presenti dei margini di ambiguità, dovrà comunque essere preferita l'interpretazione più rispondente alla buona fede.
Ove l'interpretazione delle clausole di un contratto presenti dei margini di ambiguità, dovrà comunque essere preferita l'interpretazione più rispondente alla buona fede.
Il principio è stato ribadito dal giudice di legittimità in una recente sentenza. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito pronunciata nel quadro di un giudizio conclusosi con la condanna al risarcimento dei danni emessa a carico del titolare di una azienda e conseguente alla caduta, nel cortile aziendale, di una signora a causa della presenza di un cane legato ad una catena. In particolare, la Corte regolatrice, accogliendo i vizi di violazione di legge e di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia denunziati dal ricorrente, ha censurato la pronuncia impugnata laddove il giudice del merito ha ritenuto che la polizza assicurativa, stipulata tra il danneggiante e la compagnia assicurativa, non fosse nel caso di specie operante, in quanto il luogo del sinistro era la sede dell'attività lavorativa mentre l'assicurazione risultava stipulata in riferimento alla "vita familiare" del contraente. Secondo la Cassazione, il giudice del merito, pur riconoscendo che il "rischio cane" non fosse legato alla abitazione dell'assicurato, non ne ha poi tratto le conseguenti e coerenti conclusioni, in tal modo evidenziando il vizio di motivazione oggetto di censura da parte del ricorrente.
Cass. Civ., Sez. III, 27 agosto 2014, n. 18349