lunedì 16 novembre 2015

Vizi e guasti della cosa locata.

Grava sul locatore la garanzia per i vizi della cosa locata  prevista dall’art. 1578 c.c., invero modellata su quella della compravendita, che interviene ogniqualvolta risulti alterato l’equilibrio del sinallagma a cagione dell'inidoneità  all’uso del bene concesso in locazione, alterazione a cui può porsi rimedio esclusivamente con la risoluzione contrattuale ovvero con la riduzione del corrispettivo, restando preclusa in tal caso la esperibilità della azione di esatto adempimento, con la conseguente incompatibilità dei due rimedi anzidetti.
Sull'argomento è più volte intervenuta la Corte Cassazione, affermando che nel novero dei vizi della cosa locata ex art. 1578 c.c. vanno ricompresi quei difetti che riguardano “la struttura materiale della cosa, alterandone la integrità in modo tale da impedirne notevolmente il godimento, secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione … fra essi non sono invece ricompresi i guasti o i deterioramenti dovuti alla naturale usura, nel qual caso diviene operante l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ex art 1576 C.C., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale” (Cass. Civ., Sez. III, 15/05/2007 n. 11198; Cass. Civ, Sez. III, 21/11/2011 n. 24459; Cass. Civ., Sez. III, 14/03/2013 n. 6580).
In buona sostanza, costituisce un vizio della cosa locata quel difetto grave e non facilmente eliminabile, se non attraverso un’opera di risanamento comportante un sacrificio economico per il locatore, laddove, per contro, i guasti sono quelle alterazioni transitorie e connaturali all’uso ed al godimento, eliminabili attraverso opere di semplice riparazione.
La distinzione è determinante per discernere se ed in quali limiti possa operare, nei rapporti di locazione, il principio di autotutela previsto dall’art. 1460 c.c., di cui costituisce espressione l’exceptio non rite adimpleti contractus. La peculiarità della disciplina dei vizi nella locazione sta nel fatto che il  vizio è tale ove ed in quanto esso incida concretamente sul godimento del bene, diminuendone  od impedendone la utilizzazione. 
La norma in oggetto, tuttavia, non abilita in nessun caso il conduttore a sospendere il versamento del canone e degli accessori o ad operare la cosiddetta autoriduzione dei medesimi, egli può solo domandare la risoluzione del contratto ovvero una riduzione del corrispettivo, rimanendo devoluta al potere del Giudice la facoltà di valutare l’importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti. Pertanto, in assenza di un provvedimento dell'Autorità Giudiziaria, sia esso anche sommario, giammai il conduttore può assumere di propria sponte iniziative in autotutela.
Fra le ipotesi maggiormente ricorrenti di vizio della cosa locata, rilevante ai fini dell'art. 1578 c.c., la Suprema Corte individua l'umidità dell'immobile dovuta a ragioni strutturali quale quella conseguente a mancante o non adeguata impermeabilizzazione (Cass. Civ., Sez. III, 04/08/1994 n. 7260), la costruzione difettosa degli scarichi fognanti (Cass. Civ., Sez. III, 06/03/1995 n. 2605), l'inutilizzabilità dei servizi igienici per occlusione dello scarico non collegato alla rete fognaria ( Cass. Civ., Sez. III, 28/08/20013 n. 19806), il mancato rilascio della licenza di abitabilità (Cass. Civ. 16/09/1996 n. 8285).
Inoltre, allorquando “il conduttore, all'atto della stipulazione del contratto di locazione, non abbia denunziato i difetti della cosa da lui conosciuti o facilmente riconoscibili, deve ritenersi che abbia implicitamente rinunziato a farli valere, accettando la cosa nello stato in cui risultava al momento della consegna, e non può, pertanto, chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del canone, né il risarcimento del danno o l'esatto adempimento, né avvalersi dell'eccezione di cui all'art. 1460 cod. civ., dal momento che non si può escludere che il conduttore ritenga di realizzare i suoi interessi assumendosi il rischio economico dell'eventuale riduzione dell'uso pattuito ovvero accollandosi l'onere delle spese necessarie per adeguare l'immobile locato all'uso convenuto, in cambio di un canone inferiore rispetto a quello richiesto in condizioni di perfetta idoneità del bene al predetto uso"(Cass. Civ., Sez. III, 01/12/2009 n. 25278; Cass. Civ., Sez. III, 20/07/2010 n. 16900). 
In sintesi, affinché possa divenire operativa la garanzia prevista nell'art. 1578 c.c. è necessario che:
a) si sia in presenza di vizi strutturali che impediscano l'effettivo godimento del bene e non di semplici guasti o deterioramenti dovuti all'ordinaria usura, la cui risoluzione necessita di interventi di manutenzione di routine;
b) il vizio non sia né conosciuto né facilmente conoscibile dal conduttore né, in egual misura, lo stesso deve essersi accollato il rischio dell'intervento ovvero l'onere delle spese necessarie.

domenica 1 novembre 2015

Stato di insolvenza ai fini della dichiarazione di fallimento.

Fermi restando i requisiti dimensionali fissati dall'art. 1 L.F., presupposto indefettibile affinché l'imprenditore possa fallire, ai sensi del successivo art. 5, è lo stato d'insolvenza in cui questo deve versare, tenendo ben presente che l'equazione "pignoramento negativo uguale stato di insolvenza" non appare condivisibile.
Dottrina e giurisprudenza nel corso degli anni ci hanno insegnato che l'insolvenza rappresenta uno status da valutarsi in termini prospettici e dinamici, dovendo l'analisi tassativamente ampliarsi ad una stima globale, sia quantitativa che qualitativa, dei debiti e dei crediti.
Ne consegue che l'inadempimento in sé non rappresenta l'essenza stessa dell'insolvenza e non ne comporta automaticamente l'esistenza, ben potendo l'imprenditore non aver onorato il proprio debito per motivi diversi dall'incapacità a far fronte ad esso.
Viene cosi richiesto, ai fini dello stato di decozione che giustifica la procedura concorsuale, un quid pluris che deve essere individuato nel non essere più in grado l'imprenditore di adempiere regolarmente alle obbligazioni poste a suo carico, con mezzi propri o forniti da terzi, trattandosi di una situazione manifesta ed irreversibile e non già di una mera impossibilità temporanea.
Il richiamato art. 5 L.F. da più parti è stato definito come una “norma aperta”, che non definisce un vero e proprio modello e che ha indotto dottrina è giurisprudenza ad individuare una serie di elementi, solitamente in concorso, indicatori dello stato di insolvenza; sebbene tale elencazione non possa dirsi esaustiva, potendosi lo stato di insolvenza comunque desumersi anche da altri fattori, appresso sembra opportuno richiamare i più importanti fra loro, onde poterli utilizzare come chiavi di lettura della fattispecie concreta. 
Essi possono individuarsi:
  • nell'assenza persistente di utili e nella contemporanea presenza di perdite;
  • nella mancanza prolungata di liquidità;
  • in un elevato indebitamento con i creditori istituzionali;
  • nel mancato godimento del credito bancario ed ancor più nella revoca del fido e delle linee di credito;
  • nell'utilizzo degli affidamenti bancari oltre i limiti concessi e nei solleciti al rientro nei limiti degli affidamenti;
  • in un rapporto sbilanciato fra attivo e passivo;
  • nella consistenza negativa del patrimonio netto;
  • nell'impossibilità di continuare l'attività d'impresa in modo proficuo;
  • nel  consolidamento e stagnazione del debito;
  • nell'utilizzo di mezzi anomali di pagamento;
  • nei ripetuti rinnovi cambiari;
  • nell'essere protestato e/o iscritto negli elenchi dei cattivi pagatori;
  • nella restituzione di merce acquistata non dovuta a vizi o difetti della medesima;
  • nell'essere sottoposto a più procedure esecutive.