La sentenza in rassegna è particolarmente interessante perché si occupa della peculiare figura del contratto preliminare di vendita di cosa futura e della rilevanza -ai fini del relativo adempimento da parte del promittente venditore- della promessa del fatto del terzo (disciplinata dall'art. 1381 c.c.).Da un punto di vista generale occorre chiarire che nel contratto preliminare di vendita di cosa da costruire, il venditore che assuma anche l'obbligazione di realizzazione del bene è tenuto a prestare la relativa, necessaria attività e risponde di inadempimento contrattuale nel caso in cui non dimostri che la prestazione promessa è venuta a mancare per causa a sé non imputabile; se il venditore, viceversa, non assume alcun obbligazione ulteriore rispetto a quella di trasferire il bene, ricorre la diversa ipotesi della vendita di cosa futura, soggetta alla "condicio iuris" della sua venuta ad esistenza ad opera di un terzo (c.d. "emptio rei speratae"), la cui mancata realizzazione comporta non già la risoluzione del contratto per inadempimento bensì la nullità del medesimo per mancanza di oggetto, ex art. 1472 c.c.È stato anche specificato che non si può ottenere la pronuncia di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto, qualora le parti del contratto preliminare di vendita di cosa futura (come un appartamento ancora da costruire) abbiano espressamente subordinato la stipula del contratto definitivo alla avvenuta edificazione degli immobili oggetto dello stesso.
Quanto alla promessa del fatto del terzo, la Corte di legittimità ha precisato che, con essa, il promittente assume una prima obbligazione di "facere", consistente nell'adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento promesso, onde soddisfare l'interesse del promissario, ed una seconda obbligazione di "dare", cioè di corrispondere l'indennizzo nel caso in cui, nonostante si sia adoperato, il terzo si rifiuti di impegnarsi; da ciò consegue che, qualora il promittente abbia adempiuto a tale obbligazione di "facere" e, ciononostante, il promissario non ottenga il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo, il promissario resta garantito dall'obbligo del promittente di corrispondergli l'indennizzo; quando, invece, l'obbligazione di "facere" non venga adempiuta e la mancata esecuzione sia imputabile al promittente, ovvero venga eseguita in violazione dei doveri di correttezza e buona fede, il promissario avrà a disposizione gli ordinari rimedi contro l'inadempimento e potrà richiedere, in presenza del necessario nesso di causalità, il risarcimento del danno.Risulta, altresì, puntualizzato che, in tema di promessa del fatto del terzo, le conseguenze derivanti dal mancato compimento del fatto promesso, per il rifiuto del terzo di obbligarsi o di tenere il comportamento oggetto delle promessa, devono essere graduate sulla base della condotta in concreto mantenuta dal promittente, nel senso che questi è tenuto al mero indennizzo nel caso in cui sia stato diligente nell'attivarsi presso il terzo onde soddisfare l'interesse del promissario ed è obbligato, invece, a risarcire i danni secondo le generali regole risarcitorie allorquando siano ravvisabili colpa o negligenza e il promissario dia la prova degli effettivi danni subiti in conseguenza dell'inadempimento.
Cass. Civ., Sez. II, 21/11/2014, n. 24853