mercoledì 17 dicembre 2014

Preliminare di vendita di cosa futura differenze con promessa del fatto del terzo

La sentenza in rassegna è particolarmente interessante perché si occupa della peculiare figura del contratto preliminare di vendita di cosa futura e della rilevanza -ai fini del relativo adempimento da parte del promittente venditore- della promessa del fatto del terzo (disciplinata dall'art. 1381 c.c.).Da un punto di vista generale occorre chiarire che nel contratto preliminare di vendita di cosa da costruire, il venditore che assuma anche l'obbligazione di realizzazione del bene è tenuto a prestare la relativa, necessaria attività e risponde di inadempimento contrattuale nel caso in cui non dimostri che la prestazione promessa è venuta a mancare per causa a sé non imputabile; se il venditore, viceversa, non assume alcun obbligazione ulteriore rispetto a quella di trasferire il bene, ricorre la diversa ipotesi della vendita di cosa futura, soggetta alla "condicio iuris" della sua venuta ad esistenza ad opera di un terzo (c.d. "emptio rei speratae"), la cui mancata realizzazione comporta non già la risoluzione del contratto per inadempimento bensì la nullità del medesimo per mancanza di oggetto, ex art. 1472 c.c.È stato anche specificato che non si può ottenere la pronuncia di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto, qualora le parti del contratto preliminare di vendita di cosa futura (come un appartamento ancora da costruire) abbiano espressamente subordinato la stipula del contratto definitivo alla avvenuta edificazione degli immobili oggetto dello stesso.
Quanto alla promessa del fatto del terzo, la Corte di legittimità ha precisato che, con essa, il promittente assume una prima obbligazione di "facere", consistente nell'adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento promesso, onde soddisfare l'interesse del promissario, ed una seconda obbligazione di "dare", cioè di corrispondere l'indennizzo nel caso in cui, nonostante si sia adoperato, il terzo si rifiuti di impegnarsi; da ciò consegue che, qualora il promittente abbia adempiuto a tale obbligazione di "facere" e, ciononostante, il promissario non ottenga il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo, il promissario resta garantito dall'obbligo del promittente di corrispondergli l'indennizzo; quando, invece, l'obbligazione di "facere" non venga adempiuta e la mancata esecuzione sia imputabile al promittente, ovvero venga eseguita in violazione dei doveri di correttezza e buona fede, il promissario avrà a disposizione gli ordinari rimedi contro l'inadempimento e potrà richiedere, in presenza del necessario nesso di causalità, il risarcimento del danno.Risulta, altresì, puntualizzato che, in tema di promessa del fatto del terzo, le conseguenze derivanti dal mancato compimento del fatto promesso, per il rifiuto del terzo di obbligarsi o di tenere il comportamento oggetto delle promessa, devono essere graduate sulla base della condotta in concreto mantenuta dal promittente, nel senso che questi è tenuto al mero indennizzo nel caso in cui sia stato diligente nell'attivarsi presso il terzo onde soddisfare l'interesse del promissario ed è obbligato, invece, a risarcire i danni secondo le generali regole risarcitorie allorquando siano ravvisabili colpa o negligenza e il promissario dia la prova degli effettivi danni subiti in conseguenza dell'inadempimento.
Cass. Civ., Sez. II, 21/11/2014, n. 24853

lunedì 15 dicembre 2014

Contratto preliminare vendita bene indiviso promessa del fatto del terzo

Nel preliminare di vendita di bene indiviso considerato quale unicum, ogni comproprietario non solo si obbliga a prestare il consenso per il trasferimento della sua quota, ma promette anche il fatto altrui, cioè la prestazione del consenso degli altri comproprietari, sicché, attesa l'unitarietà della prestazione dei venditori, l'obbligo di prezzo è indivisibile per volontà negoziale e ciascun venditore può esigere l'intero a titolo solidale.
Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 11549 del 23/05/2014

Interposizione fittizia fisco vendita donazione scopo elusivo contratto.

La disciplina antielusiva dell'interposizione, prevista dall'art. 37, comma III, Dpr n. 600/73 non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l'applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d'imposta: ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell'ambito della quale può ricomprendersi l'interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo dell'intera operazione negoziale posta in essere, nella sequenza donazione-vendita.
Cass. Civ., Sez. V, sentenza n. 21794 del 15/10/2014

giovedì 27 novembre 2014

Rapporto di comodato esigenze della famiglia

Il principio per cui il comodatario ha il diritto alla prosecuzione del rapporto per tutto il tempo per cui si protraggano le esigenze familiari si riferisce ai casi in cui sia certo ed inequivocabile che il rapporto abbia avuto origine in vista di una tale destinazione.
Con il contratto di comodato, precisa la Cassazione, il proprietario concede gratuitamente a terzi il diritto d'uso del bene proprio e, soprattutto quando si tratti di un immobile, la sussistenza di una effettiva volontà di assoggettare il bene a vincoli ed a destinazioni d'uso particolarmente gravosi non può essere presunta, ma deve essere positivamente accertata. Nel dubbio, prosegue il giudice di legittimità, va adottata la soluzione più favorevole alla cessazione del vincolo, considerato anche il sospetto ed il disfavore con cui l'ordinamento considera i trasferimenti gratuiti di beni e di diritti sui beni.
Cass. Civ., Sez. VI, 21/11/2014, n. 24838 

martedì 25 novembre 2014

Comodato immobiliare rilascio immobile svolgimento attività commerciale.

La circostanza che nell'immobile dato in comodato sia svolta una attività commerciale non basta per ritenere quel comodato soggetto ad un termine implicito, ai sensi dell'art. 1810 c.c., e di conseguenza che il comodante non possa chiedere la restituzione dell'immobile sino a che non cessi l'attività in esso svolta.
Secondo la Cassazione, quanto appena detto è in linea con gli orientamenti espressi e in particolare con il principio secondo cui il termine del comodato può risultare dall'uso cui la cosa deve essere destinata solo "se tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo". In mancanza, invece, di particolari prescrizioni di durata, ovvero di elementi certi ed oggettivi che consentano ab origine di prestabilirla l'uso corrispondente alla generica destinazione dell'immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, perciò, a titolo precario, e, dunque, revocabile ad nutum da parte del comodante a norma dell'art. 1810 c.c.
Cass. Civ., Sez. III, 18/11/2014, n. 24468

venerdì 21 novembre 2014

Notaio autenticante scrittura privata

Il notaio autenticante una scrittura privata non deve limitarsi ad eseguire il mero controllo di legalità delle pattuizioni bensì è tenuto anche ad indagare sulla effettiva volontà dei contraenti.
Il principio già enunciato nella circolare dell'11/10/2011 è stato recentemente confermato anche dalla Suprema Corte in una sua decisione.
Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 19350 del 12/09/2014

martedì 18 novembre 2014

Disdetta anticipata locatore mancata realizzazione finalità

La terza sezione della Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui la sanzione del ripristino della locazione o del risarcimento del danno a carico del locatore che abbia ottenuto la disponibilità anticipata dell'immobile per una finalità non più realizzata, trova fondamento nel contratto. E' posto, dunque, a carico del locatore l'onere di provare di aver adempiuto all'obbligo corrispondente o di non aver potuto adempiere per cause ostative a lui non imputabili.
Cass. Civ., Sez. III, 07/11/2014, n. 23794

venerdì 31 ottobre 2014

Locazione, danno da ritardato rilascio dell'immobile

In materia di locazione, ove il proprietario dimostri l'esistenza di una favorevole occasione di vendere o di locare il bene, si configura il danno da ritardato rilascio di immobile.
Perché sia configurabile il maggior danno da ritardo nella restituzione del bene locato, ex art. 1591 c.c., debbono essere provate sia la situazione di mora del conduttore sia il maggior danno subito dal locatore a seguito dell'impossibilità di disporre dell'immobile.
Cass. Civ., Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22352

lunedì 13 ottobre 2014

Planimetria allegata alla compravendita

Per la validità di una compravendita immobiliare è necessario che l’oggetto sia determinato, ovvero determinabile in base ad elementi contenuti nel relativo atto scritto (pertanto documentali e non estrinseci all’atto), dovendosi ravvisare il requisito della determinatezza o della determinabilità nella inequivocabile identificazione dell’immobile compravenduto per il tramite dell’indicazione dei confini o di altri dati oggettivi incontrovertibilmente conducenti al fine e idonei a non lasciare margini di dubbio sull’identità del suddetto immobile. 
Nei negozi solenni l'oggetto del contratto può essere determinato anche per relationem a condizione, però, che la planimetria sottoscritta dalle parti ed allegata all'atto sia aggiornata.
Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza n. 21352/14 del 09/10/2014


lunedì 6 ottobre 2014

Lavori condominiali per i danni a terzi risponde l'appaltatore

Esaminando una controversia relativa ad un contratto di appalto in un complesso condominiale di particolare pregio, la Suprema Corte ha ribadito che, in assenza di un qualche indice capace di far supporre che sia stato sottoposto dal committente a direttive tanto stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione, è l'appaltatore a rimanere l'esclusivo responsabile dell'esecuzione dei lavori, nonché dei relativi danni conseguenti a negligenza nell'esecuzione.
Nell'appalto, di regola, è l'appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell'inosservanza della legge penale durante l'esecuzione del contratto, attesa l'autonomia con cui egli svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l'opera o il servizio cui si era obbligato.
Limitandosi invece il controllo e la sorveglianza del committente all'accertamento ed alla verifica della corrispondenza dell'opera o del servizio affidato all'appaltatore con quanto costituisca l'oggetto del contratto, una sua responsabilità nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, tanto che l'appaltatore finisca per agire quale "nudus minister" privo dell'autonomia che normalmente gli compete; parimenti, una responsabilità del committente è predicabile per "culpa in eligendo", ossia, per aver affidato il lavoro ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del "neminem laedere" di cui all'art. 2043 c.c.
Il principio, sorretto da un insegnamento costante nella giurisprudenza di legittimità, è stato ribadito in una recente pronuncia.
Nella fattispecie, la Suprema Corte ha cassato e deciso nel merito la sentenza impugnata laddove la stessa, nell'ambito di una azione risarcitoria intentata da un condomino nei confronti del Condominio, del suo amministratore e degli appaltatori responsabili dei danni causatigli in sede di esecuzione dell'appalto, aveva affermato, oltre a quella dell'appaltatore, anche la responsabilità del Condominio e dell'amministratore anche quale di direttore dei lavori del medesimo.
Sotto tale profilo, la decisione in epigrafe, muovendo dal principio secondo cui l'amministratore non costituisce una entità diversa dal condominio del quale è rappresentante, perché il condominio è un ente di gestione privo di personalità giuridica diversa da quella dei singoli condomini, giunge ad affermare che «il condomino che ritenga di essere stato danneggiato, come nella specie, da un'omessa vigilanza da parte del condominio nell'esecuzione di lavori sulle parti comuni non può considerare l'amministratore come un soggetto terzo estraneo, ma dovrà comunque rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti del condominio il quale, a sua volta, valuterà se esistono gli estremi di una rivalsa nei confronti dell'amministratore». Né, conclude la Corte regolatrice, può pervenirsi a diverse conclusioni in considerazione del ruolo di direttore dei lavori affidato all'amministratore predetto.
Cass. Civ., Sez. III, 30 settembre 2014, n. 20557

giovedì 2 ottobre 2014

Contratti bancari - Deposito cointestato: in caso di morte l'altro contitolare può chiedere l'adempimento dell'intero saldo

La Suprema Corte ha consolidato il principio, già enunciato espressamente in un unico precedente, secondo cui, in caso di deposito bancario intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell'altro, l'adempimento dell'intero saldo del libretto di deposito a risparmio e l'adempimento così conseguito libera la banca verso gli eredi dell'altro contitolare.
Nel caso in cui il deposito bancario sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere, sino alla estinzione del rapporto, operazioni, attive e passive, anche disgiuntamente, si realizza una solidarietà dal lato attivo dell'obbligazione, che sopravvive alla morte di uno dei contitolari, sicché il contitolare ha diritto di chiedere, anche dopo la morte dell'altro, l'adempimento dell'intero saldo del libretto di deposito a risparmio e l'adempimento così conseguito libera la banca verso gli eredi dell'altro contitolare.
Il principio, già enunciato espressamente dal giudice di legittimità (cfr., Cass. Civ., Sent. n. 15231 del 2002, cit.), è stato nuovamente affermato nella parte motiva di una decisione assunta lo scorso mese di giugno.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il giudice del merito, in riforma della decisione di primo grado, da un lato aveva condannato una banca al pagamento in favore di un cointestatario di una somma di danaro oltre gli interessi maturati al tasso pattuito nel contratto di conto corrente fino alla domanda ed al tasso legale da tale momento fino alla data di effettivo pagamento e dall'altro, aveva dichiarato altro cointestatario obbligato a tenere il predetto istituto di credito indenne della somma corrisposta all'altro cointestatario.
Cass. Civ., Sez. I, 3 giugno 2014, n. 12385

mercoledì 1 ottobre 2014

Se l'interpretazione del contratto risulta ambigua occorre prediligere il canone della buona fede

Nell'ipotesi in cui l'interpretazione delle clausole di un contratto nel caso di specie di assicurazione presenti dei margini di ambiguità, dovrà comunque essere preferita l'interpretazione più rispondente alla buona fede.
Ove l'interpretazione delle clausole di un contratto presenti dei margini di ambiguità, dovrà comunque essere preferita l'interpretazione più rispondente alla buona fede.
Il principio è stato ribadito dal giudice di legittimità in una recente sentenza. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito pronunciata nel quadro di un giudizio conclusosi con la condanna al risarcimento dei danni emessa a carico del titolare di una azienda e conseguente alla caduta, nel cortile aziendale, di una signora a causa della presenza di un cane legato ad una catena. In particolare, la Corte regolatrice, accogliendo i vizi di violazione di legge e di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia denunziati dal ricorrente, ha censurato la pronuncia impugnata laddove il giudice del merito ha ritenuto che la polizza assicurativa, stipulata tra il danneggiante e la compagnia assicurativa, non fosse nel caso di specie operante, in quanto il luogo del sinistro era la sede dell'attività lavorativa mentre l'assicurazione risultava stipulata in riferimento alla "vita familiare" del contraente. Secondo la Cassazione, il giudice del merito, pur riconoscendo che il "rischio cane" non fosse legato alla abitazione dell'assicurato, non ne ha poi tratto le conseguenti e coerenti conclusioni, in tal modo evidenziando il vizio di motivazione oggetto di censura da parte del ricorrente.
Cass. Civ., Sez. III, 27 agosto 2014, n. 18349

lunedì 29 settembre 2014

Esecuzione del contratto e danni a terzi: le condizioni per un giudizio di responsabilità del committente

 La Suprema Corte ha ribadito principi e condizioni che legittimano una corresponsabilità del committente per i danni a terzi in caso di esecuzione di lavori dati in appalto.
In tema di appalto, è di regola l'appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell'inosservanza della legge penale durante l'esecuzione del contratto, attesa l'autonomia con cui egli svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l'opera o il servizio cui si era obbligato. Il controllo e la sorveglianza del committente, invece, si limitano all'accertamento ed alla verifica della corrispondenza dell'opera o del servizio affidato all'appaltatore con quanto costituisca l'oggetto del contratto. In tale contesto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, tanto che l'appaltatore finisca per agire quale "nudus minister" privo dell'autonomia che normalmente gli compete. Inoltre, è stata riconosciuta una responsabilità del committente quando sia configurabile in capo al medesimo una "culpa in eligendo", per aver affidato il lavoro ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del "neminem laedere" di cui all'art. 2043 c.c. Tali principi, già enunciati in precedenti decisioni, sono stati ora ribaditi.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza impugnata con la quale la corte del merito, nell'ambito di un contratto di appalto di lavori di ristrutturazione di uno stabile condominiale ed in parziale riforma della pronuncia di primo grado, aveva rigettato la domanda di risarcimento danni proposta dal condomino danneggiato nei confronti del Condominio, mantenendo tuttavia ferma la condanna emessa a carico dell'appaltatore.
Cass. Civ., Sez. III, 19 settembre 2014, n. 19742

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mercoledì 24 settembre 2014

Compravendita: la volontà di concludere il negozio deve risultare inequivocabilmente dall'atto.

Ai fini della configurabilità dell'atto scritto richiesto ad substantiam per la validità di una compravendita immobiliare, occorre che in esso risulti inequivocabilmente la manifestazione specifica della volontà di concludere il suddetto contratto, non potendosi ricorrere ad elementi esterni all'atto scritto per accertare l'esistenza di tale volontà.
In tema di compravendita immobiliare, l'atto deve essere stipulato, ai sensi dell'art. 1350, n. 1, c.c., in forma scritta richiesta "ad substantiam", e tale esigenza comporta che l'atto scritto suddetto deve essere rappresentato non da un qualsiasi documento da cui risulti la precedente stipulazione, ma da uno scritto che contenga la manifestazione della volontà di concludere il contratto e che sia posto in essere al fine specifico di manifestare tale volontà. In altri termini, ai fini della configurabilità dell'atto scritto richiesto "ad substantiam" per la validità di una compravendita immobiliare, occorre che in esso risulti inequivocabilmente la manifestazione specifica della volontà di concludere il suddetto contratto, con la conseguenza che non è possibile ricorrere ad elementi esterni all'atto scritto per accertare l'esistenza di tale volontà. Tali principi sono stati espressi dal giudice di legittimità in una recente pronuncia relativa ad un controversia tutta incentrata sulla corretta qualificazione ed interpretazione di una scrittura privata.
In particolare, specifica la Corte in conformità ad alcuni precedenti, proprio sulla base del principio che per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà immobiliare, per i quali è richiesta la forma scritta "ad substantiam", l'atto scritto costituisce lo strumento necessario ed insostituibile per la valida manifestazione della volontà produttiva del negozio, si evince che la manifestazione scritta della volontà di uno dei contraenti non può essere sostituita da una dichiarazione confessoria dell'altra parte, non valendo tale dichiarazione né quale elemento integrante il contratto, né -quand'anche contenga il preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto- come prova del medesimo.
Cass. Civ., Sez. II, 16 settembre 2014, n. 19488

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martedì 23 settembre 2014

Donazione indiretta: è decisivo il nesso tra donazione del denaro e acquisto immobiliare.

Nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l'acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distinguere l'ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l'acquisto dell'immobile, che costituisce il fine della donazione. In tal caso, il collegamento tra l'elargizione del denaro paterno e l'acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto.
Per integrare la fattispecie della donazione indiretta, è necessario che la dazione della somma di denaro sia effettuata quale mezzo per l'unico e specifico fine dell'acquisto dell'immobile: deve, cioè, sussistere incontrovertibilmente un collegamento teleologico tra elargizione del denaro e acquisto dell'immobile.
Il principio, già enunciato dal giudice di legittimità, è stato ribadito in una recente sentenza. Nel caso poi di soggetto che abbia erogato il denaro per l'acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli, precisa la Suprema Corte in conformità alla propria giurisprudenza, si deve distinguere l'ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l'acquisto dell'immobile, che costituisce il fine della donazione. In tal caso, il collegamento tra l'elargizione del denaro paterno e l'acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto.
Nel caso in esame, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata dalla ricorrente donataria in quanto la corte territoriale, pur ritenendo provata, in base ad una presunzione basata su elementi oggettivi e concordanti, la provenienza della somma di danaro impiegata nell'acquisto immobiliare, non aveva fornito alcuna motivazione sul fatto che il denaro in oggetto fosse stato elargito dai genitori all'unico scopo di rendere possibile l'acquisto.
Cass. Civ., Sez. VI, 2 settembre 2014, n. 18541

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Mutuo fondiario: lecito il negozio stipulato per onorare debiti pregressi verso la banca mutuante

Tra le finalità di un'operazione di credito fondiario rientra anche quella dell'utilizzazione delle somme ottenute per estinguere un debito precedente verso la stessa banca concedente il finanziamento, non essendo ravvisabile, in tale ipotesi, un uso distorto dello strumento del mutuo fondiario.


Deve ritenersi la liceità del mutuo fondiario ove la somma mutuata sia, in tutto o in parte, utilizzata dal mutuatario per sanare passività pregresse, anche nei confronti dell'istituto di credito mutuante. Il principio è stato espressamente ribadito dal giudice di legittimità in una recente pronuncia.
Il mutuo fondiario, precisa la Suprema Corte, non è mutuo di scopo, non risultando per la relativa validità previsto che la somma erogata dall'istituto mutuante debba essere necessariamente destinata ad una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire, né l'istituto mutuante deve controllare l'utilizzazione che viene fatta della somma erogata, risultando piuttosto connotato dalla possibilità di prestazione da parte del proprietario di immobili, rustici o urbani, a garanzia ipotecaria.
Ed invero, essendo il contratto di credito fondiario connotato dalla concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili -art. 38 del T.U.B.- lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall'immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con restituzione della somma oltre il breve termine (nei limiti ed alle condizioni previste dalla normativa secondaria di settore); laddove, invece, nel mutuo di scopo, legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi e l'impegno assunto dal mutuatario ha rilevanza corrispettiva nell'attribuzione della somma, quindi rilievo causale nell'economia del contratto. Pertanto, conclude la Cassazione, è lecito il contratto di mutuo fondiario stipulato dal mutuatario, ai sensi dell'art. 38 del T.U.B., per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante.
Cass. Civ., Sez. III, 12 settembre 2014, n. 19282

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Revocatoria fallimentare: in caso di preliminare, la sproporzione tra le prestazioni va valutata in riferimento al contratto definitivo.

Nell'ipotesi di revocatoria fallimentare di un atto di compravendita preceduto dalla stipula di un contratto preliminare, la sproporzione tra le prestazioni deve essere valutata con riferimento al momento della conclusione del contratto definitivo, essendo tale negozio a determinare l'effettivo passaggio della proprietà, e a tal momento occorre riferirsi per la determinazione del valore venale del bene.
In tema di revocatoria fallimentare di compravendita stipulata in adempimento di contratto preliminare, l'accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto l'art. 67 della legge fallimentare ricollega la consapevolezza dell'insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo con cui è assunta l'obbligazione, di cui l'atto finale comporta esecuzione, salvo che ne sia provato il carattere fraudolento; inoltre, qualora nel momento fissato per la stipulazione del contratto definitivo, sussista pericolo di revoca dell'acquisto per la sopravvenuta insolvenza del promittente venditore, il promissario acquirente ha la facoltà di non addivenire alla stipulazione, invocando la tutela dell'art. 1461 c.c. Il principio, già enunciato dal giudice di legittimità, è stato espressamente ribadito in una recente decisione.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto non censurabile la sentenza con la quale la corte territoriale aveva confermato la pronuncia del tribunale di accoglimento dell'azione revocatoria dell'atto di alienazione immobiliare proposta dal curatore del Fallimento di una società in stato di liquidazione poi dichiarata fallita.
Cass. Civ., Sez. I, 12 settembre 2014, n. 19314

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