mercoledì 30 marzo 2016

Cessazione società responsabilità soci e liquidatori.

I creditori sociali insoddisfatti, una volta venuta meno la compagine sociale, possono sì rivolgersi contro i soci ma, si tenga ben presente, solo ed esclusivamente sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse e risultanti dal bilancio finale di liquidazione e dal piano di riparto.
Allo stesso modo, i creditori insoddisfatti, onde potersi attivare nei confronti del liquidatore per ottenere la tutela delle proprie pretese, sono tenuti a dimostrare che il loro mancato soddisfacimento è dipeso da condotte dolose ovvero colpose del liquidatore medesimo.
Le società di capitali sono caratterizzate dalla totale autonomia del patrimonio, unico bene deputato a soddisfare i creditori nei limiti della sua capienza, peculiarità a cui consegue la limitazione della responsabilità dei soci alla sola partecipazione, sia essa quota od azione, da essi posseduta.
L’eventuale coinvolgimento dei soci posteriormente alla cancellazione della società può avvenire unicamente sul presupposto che i soci stessi abbiano percepito, attraverso il bilancio finale di liquidazione, parte delle attività destinate alla soddisfazione dei creditori sociali. In altre parole, occorre l’avvenuta dimostrazione che vi sia stata una concreta attribuzione patrimoniale, in base al predetto bilancio, circostanza che determina ex lege l’assunzione in capo al socio anche di una corrispondente quota parte dei debiti sociali rimasti insoddisfatti. 
L'aver percepito somme a seguito della liquidazione costituisce il fondamento della pretesa che i creditori sociali possono far valere nei confronti del socio, il limite della medesima, invece, deve essere individuato nella impossibilità di agire nei confronti del socio per importi superiori a quelli percepiti in sede di liquidazione perché, se così non fosse, si snaturerebbe l'essenza stessa delle società di capitali.
La materia è regolata dal secondo comma dell'art. 2495 c.c., il quale pone un limite quantitativo alle richieste che i creditori sociali possono avanzare nei confronti dei soci, atteso che essi, come visto, possono pretendere solo le somme riscosse dai soci in base al bilancio finale di liquidazione. La norma in questione si colloca appieno nel principio cardine degli istituti giuridici che regolano le società di capitali, consistente nella limitazione della responsabilità dei soci: in dette compagini delle obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio ai sensi degli artt. 2325 e 2462 c.c.
Ed allora, se i soci rispondono solo con il patrimonio della persona giuridica a cui appartengono durante societate, non si capisce per quale ragione questi, come pretenderebbero i ricorrenti, dovrebbero rispondere in misura maggiore dopo la sua estinzione. Le somme ripartite fra i soci all'esito della liquidazione altro non sono che il patrimonio residuo della società, ossia quello in relazione al quale si era originariamente limitata la responsabilità verso terzi. 
In virtù di quanto appena detto e degli oneri probatori che ne conseguono, diviene fondamentale, da parte di colui che agisce, dimostrare l’esistenza delle condizioni per l’azione e fornire tempestivamente le prove necessarie per far valere le proprie ragioni di credito.
Nei confronti del liquidatore le azioni di eventuali terzi creditori possono essere avanzate solo allorché sia dimostrata una responsabilità extracontrattuale in capo al medesimo. Infatti, non vi è alcun vincolo obbligatorio tra il creditore della società ed il liquidatore; inoltre, vi è un esplicito parallelismo, giusto richiamo dell’art. 2489 c.c., tra la natura della responsabilità dei liquidatori e quella prevista in materia di responsabilità degli amministratori.
Più precisamente, si evidenzia che l’art. 2394 c.c. sanziona, a titolo di responsabilità extracontrattuale verso i creditori sociali, le eventuali condotte degli amministratori poste in essere con inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Identica responsabilità, peraltro soggetta alla prescrizione quinquennale decorrente dall’iscrizione della cancellazione della Società dal Registro delle Imprese, è posta in capo al liquidatore.
La natura di responsabilità extracontrattuale impone al creditore che agisce l’onere di dimostrare l’esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare, in tutto o in parte, le proprie ragioni e che, invece, è stata distribuita ai soci od utilizzata per pagare solo taluni dei creditori in danno di altri.
In alternativa deve essere dimostrato, sempre ad onere di colui che agisce, che il liquidatore ha posto in essere una condotta colposa o dolosa con la quale abbia, in sostanza, impedito la costituzione o la conservazione del patrimonio attivo nell’interesse sia dei soci che dei creditori come, a mero titolo di esempio, il non aver attivato le opportune azioni di recupero di crediti esigibili ovvero depauperando il patrimonio. 

venerdì 4 marzo 2016

OPA risarcimento danni azionisti di minoranza.

La Cassazione, chiamata ad intervenire sulle vicende che hanno interessato una nota Società di assicurazioni, ha stabilito che "la violazione dell'obbligo di offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni di una società quotata in un mercato regolamentato fa sorgere in capo agli azionisti, ai quali l'offerta avrebbe dovuto essere rivolta, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale ex art. 1218 c.c., in quanto le azioni restitutorie non elidono il danno subito dagli azionisti di minoranza con la perdita della possibilità di beneficiare del maggior prezzo di vendita delle loro azioni".
Con la decisione in oggetto i Giudici di legittimità ha ribadito l'orientamento già espresso in passato, secondo il quale le misure restitutorie tendono a disincentivare la violazione così da tutelare l'interesse generale ad un corretto funzionamento del mercato, ma non escludono il diritto al risarcimento del danno subito dagli azionisti di minoranza, che non hanno avuto la possibilità di beneficiare del maggior prezzo di vendita dei titoli.
La Suprema Corte nel dirimere la controversia ha affermato che "dall'obbligo di offerta pubblica deriva ipso iure per gli azionisti di minoranza la possibilità di scegliere se conservare la partecipazione nella società bersaglio, nonostante il cambio della guardia nella governance della società, ovvero se conseguire il vantaggio della vendita ad un prezzo maggiorato per l'inclusione del premio di maggioranza. Dalla violazione dell'obbligo di offerta consegue, pertanto, la perdita della chance di acquisto vantaggioso, rilevando soltanto che, se l'obbligo di offerta pubblica fosse stato adempiuto, i soci di minoranza avrebbero avuto una vantaggiosa occasione di disinvestimento".
Gli Ermellini hanno inoltre evidenziato che "le misure restitutorie non sempre elidono integralmente le conseguenza dannose di un fatto illecito, specialmente nella fattispecie in esame in cui le sanzioni sono previste per disincentivare la violazione dell'obbligo di offerta totalitaria, vanificando gli obiettivi del trasgressore in funzione di tutela dell'interesse generale ad un corretto funzionamento del mercato, ma non hanno alcuna incidenza sulle conseguenze dannose subite dai soci di minoranza".

Cass. Civ., Sez. I, 10/02/2016 n. 2665